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Scrittura Cooperativa V2

non sappiamo dove arriveremo, e noi stessi non abbiamo idea di come faremo.
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29 May 2008
INTRO - A volte il cielo..




“A volte il cielo..”
Den fissava il volto della madre mentre essa prounciava queste parole.
La stanza era buia, molto buia, a malapena si riuscivano a distinguere le linee delle pareti da quelle dei pavimenti e di certo la piccola finestra posta in un angolo lontano non contribuiva efficacemente ad illuminare l’ambiente.
“Che intendi dire, mamma?” chiese Den, ma la risposta che ottenne fu solo un accenno di sorriso sul volto di sua madre.
“A volte il cielo, piccolo mio..” continuò quest’ultima alzandosi in piedi ed incamminandosi verso la finestrella.
Den non si mosse.
La madre camminava lenta e i pochi riflessi che penetravano nella stanza si abbattevano dolci sui suoi giovani lineamenti.
“Sei davvero bella mamma!” esclamò compiaciuto Den, ma continuò a rimanere seduto a terra, esattamente dove era, con la schiena appoggiata al muro.
Di nuovo non ottenne commenti riguardo alla sua affermazione e continuò ad osservare sua mamma, ormai giunta davanti alla finestra e nell’atto di aprire le minute ante vetrate; la luce diurna che filtrava migliorò, ma era sempre piuttosto leggera.
Gli occhi della madre fissavano l’esterno, ma all’improvviso la sua espressione cambiò, divenne triste, afflitta, divorata da un velo di agonia.
Den lo notò, preoccupandosi immediatamente. “Mamma…cosa c’è che non va? Hai visto qualcosa di brutto là fuori?” chiese con voce un po’ tremolante, ma senza accennare ad alcun movimento, immobile al suolo.
Al di là di quel rettangolo di luce si intravedeva il tetto di un palazzo in lontananza e qualche montagna sullo sfondo, mamma e figlio dovevano trovarsi ad un piano posto ad almeno una ventina di metri dal suolo.
La madre girò il capo fissando Den, le lacrime iniziarono a scenderle lentamente dagli occhi, portando con loro tracce di trucco che con quella poca luce appariva di uno scuro grigiore.
“A volte il cielo, piccolo mio, dimentica il suo azzurro e riflette il colore che emana la terra.”
“E che colore sarebbe, mamma?”
Den non capiva, ma stavolta la sua domanda ottenne una risposta:
“Nero, figlio mio…a volte il cielo è nero.”
Dopo queste parole, senza il minimo preavviso, la madre lasciò precipitare il suo corpo al di là della finestra.
Den sussultò e sgranò gli occhi, incredulo e con un brivido terribile che gli percorse tutta la schiena.
“MAMMA!!” urlò con violenza, ma di nuovo non si mosse. Voleva alzarsi, voleva correre verso quella maledetta finestra, ma non poteva, non riusciva, il suo corpo non rispondeva.
“MAMMA, MAMMA!" continuò il figlio, gli occhi e la bocca erano liberi ma riuscivano a mostrare soltanto l’angoscia che lo dilaniava, l’impotenza che lo incatenava.

Fu in quel momento che aprì gli occhi.

L’immagine era confusa ma riusciva a scorgere una figura umana.
“Sergente Myers, ce la fa ad alzarsi? Sergente Myers mi sente?”
La figura divenne più chiara, era un uomo vestito da poliziotto e gli stava scuotendo la spalla.
“Sergente Myers! Sergente Den Anthony Myers!”
Den non capiva dove si trovasse o cosa stesse succedendo, sentiva rumori di passi, urla e colpi di arma da fuoco, come se in lontananza ci fosse uno scontro. Era ancora seduto, appoggiato al muro, ma l’ambiente intorno a lui non era quello di pochi attimi prima, somigliava molto più ad una strada cittadina.
Pioveva a dirotto, a terra riusciva a scorgere corpi esanimi e pozze di sangue che zampillavano al tocco delle gocce d’acqua piovana.
“Sergente, riesce a vedermi? Sergente Myers!”
Den scosse la testa, come ad indicare un ritorno alla lucidità; ora poteva muoversi.
Riconobbe l’uomo dinnanzi a lui, era un suo collega, l’agente Scott.
“Ti sento Scott, ti vedo.” disse con un filo di voce, mentre l’altro lo aiutava ad alzarsi.
“E’ tutto intero? La granata le è esplosa davvero vicino!”
A quel punto fu chiaro a Den che la sua mente, fino a pochi attimi prima, stava cavalcando tra immaginazione, sogni e ricordi. Sebbene fosse lucido, però, ancora non si rendeva bene conto di cosa fosse successo.
“Credo di aver battuto la testa..dove mi trovo?” domandò, issandosi completamente in piedi e cercando di mantenere da solo l’equilibrio.
“Siamo a Bristol signore, Victoria Street, l’esplosione di poco fa l’ha scaraventata addosso a questo palazzo.”
La memoria tornò lentamente a svolgere il suo lavoro.
“Ora ricordo, devo aver volato per diversi metri..e pensare che non ho nemmeno le ali” provò a sdrammatizzare Den accennando ad un sorrisetto mentre pronunciava queste parole. Scott non rise.
“La rivolta in quest'area è quasi sedata,” continuò quest’ultimo “la scorto fino al furgone, ce la fa a camminare?”
“Penso di aver bisogno di una mano..”
I due si incamminarono lentamente verso un non troppo lontano posto di blocco, intorno a loro decine di cadaveri, negozi ed auto distrutte. Il suono di spari e sirene era ormai cessato, anche se gli agenti sapevano bene che nel resto della città c'erano ancora numerosi scontri all'attivo. L’unica cosa che si potesse udire in quel monento, però, era quel tacito fruscio dovuto alla fitta pioggia che cadeva sempre più insistentemente, regalando un’ossimorica pace.

Inciamparono sul corpo di un poliziotto, ma non caddero.
“Sono morti molti agenti oggi..” disse a bassa voce l’agente Scott, mentre sosteneva il braccio del sergente.
“Non è una novità..” riprese lui.

Giunti al posto di blocco Den si sedette sul retro di un furgone aperto. Scott era in piedi accanto a lui e fissava in silenzio un punto nel vuoto.
Ancora nella mente del sergente scorrevano le immagini del sogno che aveva fatto, ne era rimasto davvero turbato e gli veniva la pelle d’oca al solo pensiero.
Le parole dette dalla madre gli riecheggiavano nella testa, fu per lui quasi naturale volgere gli occhi al cielo per cercare di scorgerne il colore tra le nubi.
“Nero..” pensò Den “Il cielo è nero.”

Til next time,
Francesco e Andrea at 00:00

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