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Scrittura Cooperativa V2

non sappiamo dove arriveremo, e noi stessi non abbiamo idea di come faremo.
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27 Feb 2011
Capitolo 2 - Racconto 11 - Di tutto quello che possiamo avere questa è l'unica cosa davvero nostra



1.

Un uomo che siede da solo in una stanza rimane sempre un uomo solo. Non importa quante cose possa vedere attraverso dei monitor, non importa quante informazioni possa carpire attraverso dei fogli. Non importa quante persone conosca meglio dei loro partner o quanti segreti nascosti sia riuscito a vedere.
Egli rimarrà sempre e soltanto un uomo solo.

Il monitor numero sette si illuminò con la consueta colorazione rossa iridescente. Anomalia del sistema, alert, problema. Tutti sinonimi del solito evento: la liberazione di una porzione di Nebulis poteva compromettere un intera zona del muro, rendendola inoperabile ed inaccessibile a causa dei sistemi di sicurezza installati.
Nonostante l’urgenza ebbe tempo di divagare con la sua mente: Quand’è che un uomo cambia direzione? Quando cambia lato politico o religioso?
Ma soprattutto, cosa succede quando lo fa?
Erano interrogativi legittimi. Guardando il professor Erley attraverso lo specchio del monitor non poteva non immaginarsi che anche lui, ad un certo punto, avesse cambiato la propria rotta. In lui era nato quello che molti governanti chiamavano “un sentimento rivoluzionario”. Qualcosa che assomigliava ad un cancro, ad una degenerazione cellulare e mentale che piano piano prendeva il controllo di tutte le sue azioni.
E guardandosi in dietro un giorno, forse, si sarebbe domandato “Come è stato possibile?”

“La deviazione dalla strada maestra non è mai un detour. I detour sono le sbandate. La deviazione è sempre una scelta consapevole” lo pensava e se lo ripeteva, di tanto in tanto.
“La deviazione non è follia, non è impulso, non è irrazionalità. Nasce come conseguenza ma con uno scopo. Un fine preciso. Nei casi dei killer era l’appagamento di un bisogno macabro. Ma quando il bisogno è diverso, come quello della giustizia, allora l’intero cambiamento può sembrare più coerente. E lo diventa davvero, quando uno raggiunge il proprio obiettivo.” parlava sottovoce, con un fil d’aria che a malapena avrebbe consentito a qualcuno di sentirlo. Parlava a se stesso perché certe solitudini erano troppo grandi e lui lo sapeva bene.
E mentre si ripeteva tutta la storia non poteva far a meno di pensare a quel professore: Hive Erley.

“Vabbè. Per oggi direi che è sufficiente.” esclamò “ non credo serva altro”.
Premette un pulsante rosso, a malapena visibile sulla plancia di metallo che si trovava davanti. Era una tastiera immensa, paragonabile ad una composizione di quadri di strumentazioni aereonautiche.
Il monitor perse lentamente la sua iridescenza rossa e nell’immagine vide tutto tornare alla normalità.
Si alzò e disimpigliò il camicie bianco dalla sedia di metallo, non ebbe neanche il lontano desiderio di guardare cosa stava succedendo ora. Ora doveva pensare a dar da mangiare al suo popolo.
Camminò fin oltre la prima porta a scorrimento. Di fronte a lui c’era un lungo corridoio in metallo, del tutto simile a quelli visti all’interno dei monitor, circa duecento metri di corridoio con incroci ogni circa trenta metri che portavano alle altre zone della struttura. I duecento metri di lunghezza erano necessari per la decontaminazione dalle onde elettromagnetiche. Si era sufficientemente lontani dal Muro per poter uscire senza grossi problemi.
L’ultima porta che sigillava la zona aveva due barre color topazio attorno agli estremi delle ante a scorrimento. All’interno del topazio scorreva un liquido argenteo che brillava quasi come la Nebulis.
Rayfner pronunciò ad alta voce il suo nome. Ci furono un paio di secondi di silenzio dove soltanto il suo respiro si scontrava contro le pareti metalliche e poi la porta si apri.
“Benvenuti a Barnard Castle” diceva l’insegna appena fuori dall’uscita.


2.

“Rayfner! Non le è mai passato per la testa di verificare se effettivamente tutte le stazioni fossero disabitate? Non è possibile! Come cazzo può pensare così ingenuamente che tutti non si preoccupino di arrivare fin qua? Stiamo parlando del muro! Non di una passeggiata sul tamigi”
James tentava invano di parlare, colpito alla sprovvista dalla sequenza di eventi. Le mani si contorcono tra loro in un movimento isterico: sta cercando una risposta.
Ecco che d’un tratto sembra calmarsi “La nebbia.” dice
“Pensavo fosse sufficiente. Lei uccide. Non dovrebbe essere possibile superare il muro di nebbia, non senza la mia attrezzatura”
“E lei pensa davvero di essere l’unico detentore di tutta la tecnologia? Si svegli! Il mondo è fatto di persone che tentano tutto il giorno di fare follie, uccidere, distruggere città! Cosa pensava fosse questo? Un gioco? Giocava al piccolo scienziato?”
“Ecco io... veramente... mi dispiace”
Era evidente a tutti che James Rayfner aveva perso ogni tipo di contatto con le relazioni sociali. Lo si vedeva dall’eccessiva empatia con cui reagiva al comportamento irritato di Carlo.
“Ok ragazzi, cerchiamo di ragionare” disse Den “ litigare non ci aiuterà a risolvere i nostri problemi. Anzitutto, Prof. Rayfner, perché c’era una stanza con la nebbia?”
“Ehm... studio. Ch’io sappia era per studio”
Erley notò un’incertezza nel volto dello scienziato ed incalzò: “Per studio? Mi scusi ma se non ricordo male il muro e la sua costruzione non contemplavano la nebbia, non contemplavano i morti e soprattutto non contemplavano tutto questo!” il suo tono crescente fece indietreggiare James
“Non contemplavano niente. E lei ora dovrebbe perlomeno avere l’onestà di dirci che cosa ci faceva una stanza con quella maledetta nebbia dorata”
Fece una pausa
“che ha ucciso mia moglie”
“Mi dispiace che sua moglie sia “
“Che mia moglie sia cosa? Non le dispiace affatto. Per voi scienziati era una vittima sacrificale, voi non sapete il nome di nessuno dei morti che avete causato, e nemmeno delle nazioni che state distruggendo. Siete peggio di ogni terrorista perché avete basato l’intera costruzione di questo mostro unicamente sull’ignoranza e sulla fiducia, sfruttando la crisi mondiale a vostro favore. Quindi ora la prego, ci dica quello che sa.”
Ci fu un rumore fuori, un CLAC forte e distinto e le luci di emergenza si spensero.
“Cos’è stato?” disse Den
“Non ne ho idea” rispose Carlos “ma scommetto che questo forse era un avvertimento. Potevano ucciderci tutti ben prima, ma hanno aspettato a farci vedere che c’erano.”
“Quindi pensi che abbiamo risolto il nostro problema là fuori?”
“Non lo so. Rayfner, ci sono modi per monitorare la situazione fuori?”
Rayfner inizia a cercare qualcosa nelle tasche dei pantaloni e del camicie per estrarre un palmare. Sul suo volto si disegnò un sorriso: “Pare che siano cessati gli allarmi e che la situazione sia tornata alla normalità.”

Riaprirono la porta. Den e Carlos controllarono la situazione dei corridoi che sembrava normale, i due professori rimasero dentro a parlare mentre gli altri perlustravano le zone intorno.
“Ehi Den, com’è dal tuo lato?”
“Tutto ok. Non c’è nulla.”
“Neanche qui. Ma questa cosa continua a puzzarmi”
La fiducia. Quella non la potrete mai costruire. Questa non è una missione che potrete fare facilmente. Questa è una missione in cui tutti saranno vostri nemici. Già adesso, tra di voi, ci sono due spie sovietiche, una cinese, una giapponese, due europee e tre indiane.
E non lasciatevi fregare dalle apparenze. Ci sono americani di colore, ed europei con gli occhi a mandorla.
Come faccio a sapere tutto ciò? Io so a cosa stiamo andando incontro, e voi pure lo dovreste sapere. Non è una questione di trovare qualcuno che vi copra le spalle, ma è una questione di sapere che non ci sarà nessuno a salvarvi il culo.
Dovrete fidarvi solo di voi stessi perché tutti gli altri faranno così. Ed in guerra non esistono amici.

Ma la guerra del capitano cosa era mai? Pensò Carlos.
Alla fine non erano mai arrivati a capire quale sarebbe stato il loro vero nemico. E tuttora pensava che potrebbero essere nel bel mezzo di quella guerra senza saperlo.
“Neanche a me convince molto” Den ruppe il suo flusso di pensieri.
“Sicuramente volevano usare la nebbia in qualche modo malato, per qualche guerra.”
“Già. Ma poi?”
“Il poi che ci interessa è l’adesso, Den. Qualcuno è ancora qui, ed ha sicuramente uno scopo. Non esistono uomini senza uno scopo. Quelli di quel tipo muoiono presto e nessuno ne sente la mancanza.”
“Già.”

3.

“Mind control?”
“Si, controllo della mente. E’ per questo che la tenevamo lì. Ed è grazie a quelle scatole se riusciamo a controllare per bene la Nebulis esterna.”
“Ma non ci sono corrotti di tipo umano!”
“No, Erley, ha ragione. Questo perché la nebbia ha questa forma omicida che non ci consente di andare oltre. Per questo il progetto è proseguito verso la direzione del controllo delle macchine. Già più praticabile.”
“E’ incredibile. Il problema di tutto è sempre la guerra” sospirò il professore
“E’ così che va il potere”
Hive pensò che prima o poi tutto questo sarebbe cambiato. Prima o poi tutte queste nubi incerte si sarebbero dissolte. O forse no? Forse il mondo intero sarebbe stato sempre vittima dei potenti e loro solo delle pedine inutili, mosse da un abile marionettista.
“Non abbiamo trovato niente, sembra tutto ok” la voce di Carlos precedette il suo ingresso.
“Di certo ora avremo da capire cosa fare. Sarà ancora sensato rimanere qui?” Esclamò Hive indicando la telecamera in fondo al corridoio.
“Se mi permettete di dire la mia opinione di scienziato, penso la cosa migliore sia rimanere qui per ora. Io ho comunque accesso ai sistemi di questo luogo e posso cercare di individuare da dove nasce il problema. Sicuramente ci sarà qualcuno in una delle altre stazioni lungo il muro, e se così è posso identificare quale.”
“Allora si metta al lavoro, subito!”
Ormai Carlos non aveva tanta pazienza. Per lui non c’era il deterrente amoroso a farlo ragionare. Non c’erano mogli morte o scomparse ma solo il freddo raziocinio di un uomo che vuole uscire da una penosa situazione. La sua morale non gli permetteva di abbandonarli ed inoltre pensava sempre più spesso che questa fosse quella guerra.

Tornarono alla stanza di controllo, tutti controllavano i movimenti delle telecamere con occhi puntati verso l’alto. Rayfner Jr si mise a lavorare sulla console principale.
“Mi ci vorrà qualche minuto, voi date comunque un’occhiata alla situazione intorno per evitare problemi come quelli di prima”
I due militari si appostarono agli ingressi. Prima avevano controllato anche la stanza della nebbia: Vuota. Scomparsa chissà dove. Non si aspettavano certo che la nebbia si fosse rinchiusa di sua spontanea volontà, ma almeno speravano di togliersi il dubbio di dove fosse.
“D-d-dove pensa sia finita la nebbia” disse Den, e quell’incertezza tradì qualcosa in lui che non andava
“Beh, a dirla tutta penso sia stata fatta uscire. Altrimenti tutte le attrezzature sarebbero danneggiate e noi saremmo...beh... morti.”
“Spero per lei sia così” aggiunse l’amico.
“Ma dov’è finito Hive?”
“Era andato un attimo in bagno pochi secondi fa, non credo che dobbiate preoccuparvi per lui. Lasciatemi solo finire il mio lavoro per ora.”

A poco meno di duecento metri in linea d’aria c’era Hive, e la Nebulis.
Una voce metallica si materializzò attraverso alcune intermittenze elettriche all’interno della nebbia. Il suono secco, privo di calore, ma soprattutto abbastanza silenzioso gli permisero di non essere udito da nessun’altra zona.
“Professor Erley? Ha tempo di una semplice discussione?”
“Ho scelta?”
“In verità si. Non ho intenzione di aggredirla e non è mia intenzione aggredire i suoi compagni. Penso solo che potremmo avere molte cose in comune, io e lei”
“Beh, figliolo, non credo che abbiamo avuto modo di familiarizzare a tal punto”.

“Oh, si fidi, la mia età non è certo quella di un giovincello. Però io la conosco. Conosco il terrore che lei prova quando vede qualcuno vicino la nebbia che prega, conosco la sua storia, e l’ho seguita in questa stazione per capire fin troppo bene che tipo è”
“E che tipo sarei?”
“Un rivoluzionario”
“Non ci voleva molto per capirlo”
Parlare ad un ammasso di nebbia dai filamenti dorati faceva un certo effetto, ma Hive non demorse e continuò
“Ma soprattutto, in che modo lei sarebbe rivoluzionario?”
“Che domande sono professore? Lei sa meglio di me che cosa vuole un rivoluzionario”
“Mi scusi ma non credo di seguirla. In genere i rivoluzionari vogliono sovvertire un qualche ordine. Io non so neanche con chi o cosa sto parlando.”
“Sono sicuro che avrà modo di scoprire che sono di carne ed ossa, ma torniamo al nostro punto: le andrebbe di seguirmi?”
“Continuo a non capire, mi sta parlando attraverso la Nebulis perchè?”
“Per dimostrarle che la posso controllare meglio di quel giovincello che avete di là. Ma soprattutto per dirle che io, a differenza sua, ho quel che serve per fare ciò che un rivoluzionario vuole: cambiare il mondo ed ottenere vendetta. Siamo più simili di quanto non crede, si fidi”
“E cosa dovrei fare?”
“Fidarsi, per ora. Ed attraversare il muro attraverso la strada che le verrà indicata dalla Nebulis che ha di fronte. Non abbia paura. Se avessi voluto ucciderla l’avrei fatto alla stazione, ma non sono un pazzo e soprattutto ho un cervello che ancora funziona.”


4.

Ho fame. Il dottore dice che non dovrei mangiare, ma ho fame.
E’ da quando sono qui che ho fame. Ho provato a mangiare ma il dottore dice che non devo. Ma io ho bisogno di mangiare. Non si è mai visto nessuno che non mangia, è da pazzi. Perchè non dovrei? Ho il diritto di farlo! Sono una persona normale che mai ha infranto la legge. Ecco.
L’ho detto.
Sono normale. Lo capisce dottore? Vero che lo capisce?


Rayfner la guardò, le condizioni mentali oltre il muro erano sempre drammatiche. Guardò Hive e poi la indicò
“Eccole la moglie del suo amico. Sto facendo di tutto per tenerla in vita ma non è semplice”
Il sangue era ovunque, le persone erano protette da un recinto che le conteneva all’interno di Barnard Castle. La gigantesca insegna che precedeva la città era solo il preludio all’orrore che vi era dentro.
“Den non faceva incubi. Vedeva l’altra parte del muro” pensò Hive ed un brivido gli fece scuotere la gamba destra, come quando da bambino vedeva un ragno. Un’azione totalmente istintiva che lo proteggeva dalla paura.
“Vorrei dirle che non è stata colpa mia, ma in verità è stato così. Ma non mi sento in colpa. La mia scienza l’ho creata davvero per cambiare il mondo. Ma non sempre tutto va come uno scienziato spera.”

Il dottore mi guarda. Perchè? Cosa ho sbagliato adesso?
Posso mangiarlo? Posso dottore?
Si che posso. Io ho fame. Troppa fame. Devo mangiarlo. Non posso evitarlo.


July si avvicinò ad una carcassa di un uomo. Sarà stato ucciso da poche ore. Iniziò mordicchiando i polpacci, staccandone morsi affamati senza ritegno.
Hive e Rayfner distolsero lo sguardo.
“Però poi sono stato incastrato. E’ per questo che voglio il suo aiuto. Penso che noi due potremo funzionare, possiamo combattere la nostra guerra e ottenere giustizia e vendetta.”
“Lei pensa davvero che con le nostre risorse possiamo farcela?”
“Si, lo penso. Posso controllare piccole parti della Nebulis, ma con queste piccole frazioni posso anche variare la tv digitale per trasmettere informazioni false.”
“Come noi che siamo ricercati?”
“Esatto.”
“Però non sono mai riuscito ad allontanarmi abbastanza per arrivare dove volevo. Ho bisogno di un qualcuno che possa arrivare dove io desidero. Questo è il controllo di cui abbiamo bisogno. A noi non servono armi per questa vendetta. Solo ingegno. E così finalmente potremmo condizionare i potenti a fare qualcosa. Davvero qualcosa”.

5.

“Dove è finito Hive?”
“Non ne ho idea. Dottore a che punto è con quel controllo?”
“Completato, ma non ho trovato nulla. Sembra che non appartenga alle stazioni del muro”
“Non è possibile che sia stato mascherato per via informatica?” le conoscenze di Carlos si rivelavano sempre utili “o che la nebbia stia in qualche modo influenzando?”
“Ritengo entrambe le cose improbabili, e comunque avrei avuto qualche indizio. No, penso che chiunque ci stia osservando stia controllando tutto dall’altro lato”

Le luci rosse di allarme iniziarono a lampeggiare ed un suono assordante scaturì nella stanza.
“Che cazzo succede di nuovo?”
“E’ la nebbia. Sta succedendo di nuovo.”
“Scappate! Fuggite fin dove potete, io tenterò di arginare i sistemi di allarme, non credo ci sia altro da fare.”
Den e Carlos si scambiarono un’occhiata e si diressero verso la prima uscita. Attraversando il corridoio videro in lontananza, in ogni incrocio, la nebbia. Sembrava che si stesse dirigendo tutta lì. Carlos e Den corsero finchè potevano. Di fronte a loro le porte sembravano tutte aperte in maniera quasi surreale.

Superarono le loro stanze dove avevano riposato e il blocco precedente. Per poi arrivare all’ingresso. Fuori però, li aspettava la solita nebbia.
“Carlos, fermati! Ho un’idea: Fammi andare avanti. Se è come penso io posso entrare in contatto con la nebbia ed uscire senza problemi.”
“Den, sei impazzito? Come puoi pensare questo?”
“E’ da un pò che ho iniziato a rifletterci. Anche Debora l’aveva detto. In qualche modo posso collegarmi con la nebbia. Quindi se fino ad ora lei mi ha controllato potrei, con un pò di fortuna, controllarne una piccola parte.”

Den aprì l’ultima porta a scorrimento.
Di fronte non v’era luce naturale ma solo una doratura incerta dell’aria. La nebbia nascondeva interamente il paesaggio con i suoi filamenti dorati che la attraversavano come ragnatele.
Den fece un passo.
L’aria gli sembrava pesante, viziata, ma più la respirava più sembrava fresca. Acquisiva le note del gelsomino, dell’erba bagnata.
Sentiva un contatto con la nebbia.

Carlos fu terrorizzato guardando la nebbia spostarsi verso Den per creare un piccolo varco alla sua sinistra.
Ma non era come aveva immaginato: Tutta la nebbia che si era spostata stava convogliandosi in Den, trasformandolo. Vedeva ogni filamento tentare di venir respirato dal suo amico.
Carlos corse, corse con tutte le sue forze finchè fu sufficientemente lontano da non temere la nebbia.
Distante, quasi del tutto nascosto, c’era Den, ormai accasciato a terra, privato di ogni movimento.

6.

“Di tutto quello che possiamo avere questa è l’unica cosa davvero nostra: la nostra vita. E possiamo scegliere di trasformarla, di cambiarla, di migliorarla. Questo lo possiamo fare. Ecco.
E’ l’unica parte del nostro destino che ci è regalata. Il resto è solo una farsa.”
Fu con queste parole, dette dal professor Erley alla cattedra, che Den cominciò la sua più grande allucinazione

7.

“Salve, Comandante Karkanoff?”
“La sua faccia non mi è nuova. Carlos giusto. Era dai tempi dell'addestramento che non la rivedevo.”
“Sissignore. Sono venuto qui in forma non ufficiale signore.”
“E che cosa la porta qui?”
“La sua guerra. Penso debba iniziare.”
“Debba iniziare? Che intendi?”
“Che l’unico modo che abbiamo per abbattere il muro è quello di distruggerlo noi stessi. Ho informazioni al riguardo che sicuramente le interessano”.

E se mai un giorno vi troverete di fronte al dubbio, pensateci ragazzi prima di venire da me. Perchè se lo farete per un motivo sbagliato, futile, innocente, io vi ucciderò a sangue freddo. Non per gusto, ma perchè siete stati scelti e come tale dovete rispettare le vostre aspettative.
Chiunque le deluda è un uomo morto.


“Posso entrare e spiegarle?”
“Certo Carlos, temo per me che dovremo parlare un pò”

Til next time,
Francesco e Andrea at 00:00

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