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Scrittura Cooperativa V2

non sappiamo dove arriveremo, e noi stessi non abbiamo idea di come faremo.
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17 Jun 2010
Capitolo 2 - Racconto 10 - Non riuscire a dormire



Si sa, la notte è il peggior momento della giornata quando la propria testa è ricolma di terribili pensieri. Si rimane da soli con sé stessi, non si può evitare che il cervello faccia rumore. Di prendere sonno, poi, proprio non se ne parla.
Finora la mente di Den era convinta che July fosse viva, che dovesse soltanto essere salvata, ma le congetture di Rayfner gli avevano messo in testa altre possibili verità.
“Se davvero July è morta, cosa diavolo ci faccio qui?”
Si girava e rigirava sulla branda. Si trovava in una stanza di modeste dimensioni, poco più di due metri di larghezza per tre di lunghezza. Fortunatamente – se di fortuna si può parlare in situazioni come queste – le pareti ed il soffitto non erano soltanto di solido metallo grigio-blu, ma rivestite con una carta da parati arancione chiaro. C’era anche un comodino in legno stile Impero, messo lì, probabilmente, dal precedente occupante della stanza. Con la luce fioca della lampada, in Den riaffiorava il ricordo della casa di suo padre, un casolare nella campagna a est di Londra tutto arancione e con un sacco di mobilio in legno.
Questo pensiero però lo distrasse solo per pochi secondi, la sua mente volò nuovamente a rimuginare sulla sorte della moglie.
“La nebbia l’ha uccisa ed io vedo solo brandelli dei suoi ricordi, delle sue esperienze…”
Si era messo faccia in giù, con il viso schiacciato sul guanciale.
“Forse è davvero solo un insieme di pensieri scollegati, come un sogno. Vedo i ricordi di July, vedo i ricordi di persone di Barnard Castle…vedo un sacco di stronzate inutili.”
Si alzò, approfittò del piccolo bagno che nessuno sembrava aver mai usato per svuotarsi la vescica, non mancando di prendere a cazzotti la parete alla sua destra causando tonfi sordi, come quelli di un pentolino che cade. Il bagno non era rivestito di arancione, ne tantomeno presentava mobiletti in legno. Era una scatola di metallo con un water in metallo ed un lavabo in metallo. Facile immaginare di che materiale fosse fatta la porta.
“Sono pazzo..?”
Decise di fare due passi nella base, dopotutto Rayfner non aveva imposto restrizioni ed il sonno sembrava non voler proprio arrivare.
Il corridoio esterno alla stanza aveva solo la metà delle luci accese. Le pareti rimbalzavano i riflessi in modo opaco, creando ampie zone di penombra.
Ripensò alla stanza contenente la nebbia che aveva visto qualche ora prima e quindi pensò di andare a dare nuovamente un’occhiata. “Perché ingabbiare la nebbia?” si chiese, mentre a passi quieti si avvicinava alla meta.

Giunse lì, all’imbocco della biforcazione, ma esitò a proseguire.
La nebbia, che in quella oscurità brillava ancor più, riusciva a far emozionare. Oro di varie tonalità, quasi bianco talvolta, si muoveva vorticosamente all’interno della gabbia vetrata. La solita ammaliante bellezza della nebbia. Come una sirena ti attrae e come una sirena non promette niente di buono.
Qualcosa si mosse nel corridoio, in una zona d’ombra.
“C’è qualcuno lì” pensò Den che, guardando meglio, era riuscito a scorgere la sagoma di una persona ferma davanti ad una delle vetrate.
Tentò di avvicinarsi lentamente, senza far troppo rumore, ma era improbabile non emettere suoni in quei freddi cunicoli metallici.
“Myers? Figliolo? E’ lei?” chiese la sagoma, rivelando la voce del Professor Erley.
Den si sentì sollevato.
“Cosa ci fa qui, professore?”
“Quello che ci fa lei, credo. Non riesco a dormire.”
“Io ho i miei buoni motivi.”
“Anche io.”
Senza sapere bene a cosa si stesse riferendo Erley, Den non aggiunse altro.

I due rimasero in silenzio per qualche secondo a fissare la scatola colma di nebbia dorata, come stregati.
“Perché lo hanno fatto?” chiese Den.
“Cosa?”
“Catturare la nebbia.”
“Per studiarla, immagino.”
“Mi chiedo se sia possibile anche trasportarla…”
“Beh, immagino di sì. A queste condizioni, perlomeno.”
“Questo spiegherebbe perché a volte la nebbia si trova in luoghi distanti dal muro.”
Erley sgranò gli occhi. Quel giovane poliziotto aveva fatto un’associazione mentale davvero terrificante, senza rendersene forse conto.
“Myers, ha ragione! Spiegherebbe un sacco di cose! Si rende conto?”
Il professore sembrava agitato.
“Si calmi. Che intende?”
“I corrotti! Come fa la nebbia a prendere controllo di apparecchiature che mai sono entrate in contatto con il muro?”
“Come il treno che prendemmo a Manchester, intende?”
“Esatto!!”
“Sta cercando di dire che qualcuno ha spostato lì la nebbia di proposito? Ha visto quanta ce n’era intorno al convoglio? Ne sarebbero servite centinaia di queste gabbie vetrate per portarne così tanta.”
“No, affatto! Sarebbe bastata una di queste dimensioni, se non più piccola!”
“Non capisco…come è possibile?”
“La nebbia si espande naturalmente. Si dirada fino a raggiungere il suo picco massimo, dopo il quale, però, la coesione tra le sue molecole diviene troppo debole. A quel punto la nebbia si dissolve, divenendo innocua ed invisibile.”
“Nient’altro che aria?”
“Potremmo dire così. Quella contenuta in questa gabbia è densissima, ad altissima concentrazione. Ha la capacità, come minimo, di centuplicare il suo volume!”
Den la fissò attentamente. In effetti era davvero densa, non si riusciva a vedere nulla superati i primi centimetri di distanza. Pareva un sole dorato.
“Non capisco una cosa, allora. Perché la nebbia rimane intatta attorno al muro, anziché diradarsi?”
“Questo accade quando essa entra in contatto con campi elettromagnetici. Solo in quel caso è in grado di rimanere in equilibrio costante, raggiungendo un’espansione limite ben precisa. E’ solo al cessare dell’attività elettromagnetica che essa si dissolve.”
“Quindi è tenuta in vita dalle scariche elettromagnetiche rilasciate dal muro. Un nutrimento costante, in pratica?”
“Precisamente. Stessa cosa vale per i corrotti, che non sono altro che macchine semi-senzienti. Hanno minime unità logiche per il controllo remoto, le quali sfruttano e creano campi elettromagnetici per comunicare. Come un telefono cellulare, in sostanza.”
“Ecco come ha fatto Rayfner a farci passare attraverso la nebbia, riesce a controllare i campi elettromagnetici intorno al muro.”
“Forse è così. Rimane comunque il dubbio iniziale: qualcuno sta davvero spostando la nebbia da un posto all’altro?”
“Il problema non è tanto se lo fa, ma perché. Se davvero le cose stanno così la nebbia non si muove autonomamente, ma è controllata.”
“Direi indirizzata.”
“Beh, indirizzata, sì. in determinati luoghi con determinati scopi. Non è altro che…un’arma.”
Ci fu un attimo di silenzio, tensione, brividi e quiete.
“Il muro è un’arma?”
I due stettero fermi per un secondo a guardarsi, riflettendo su chi potesse avere la risposta ai loro dubbi.
“Rayfner..” sussurrò Den, mentre Erley si limitò ad annuire.
“Non intendo aspettare fino a domattina, andiamo subito a fondo della questione.”
“Ci stiamo infilando in una cosa più grande di noi, sergente. Se qualcuno davvero fa ciò che pensiamo, ha di certo più risorse di noi, addirittura più del nostro governo.”
“Ci siamo già dentro a questa cosa, professore, e per quante risorse possa avere questo ipotetico nemico, in tre siamo riusciti ad arrivare fin qui.”

I due corsero, senza preoccuparsi del rumore causato dal loro impeto. Carlos si svegliò ben prima che i due arrivassero a bussare alla sua porta. Freneticamente spiegarono lui le congetture che avevamo ipotizzato, le conclusioni alle quali erano giunti.
Carlos, ancora sonnolente, diede retta ai suo compagni, si vestì e si riversò nei corridoi assieme a loro. Dapprima con lo scopo di controllare se effettivamente c’era una gabbia in grado di contenere la nebbia, poi con la volontà di bussare alla porta di Rayfner per una bella fila di spiegazioni.
“Dov’è questa gabbia vetrata? Voglio vederla.”
Hive gli consigliò di seguirlo. I tre erano quasi arrivati alla biforcazione, quando una sirena cominciò a suonare e dei pannelli luminosi a muro passarono dal verde al rosso, mostrando una scritta.
“APERTURA IN CORSO: ISOLARE IL COMPARTIMENTO”
La porta della prigione in cui si trovava la nebbia si aprì di scatto, portando via i sigilli di colloide che la tenevano ben salda. La nebbia iniziò lentamente ad uscire a non più di 30 metri da Carlos.
“CHE AVETE FATTO, PAZZI?!?!?!?”
Rayfner era in piedi dietro al gruppetto, scalzo e con indosso solo un paio di pantaloni di un pijama. Stava dormendo fino a quel momento e la botta di adrenalina che aveva irradiato improvvisamente il suo corpo aveva fatto sì che riuscisse a tenere gli occhi completamente sbarrati, rendendoli grandi almeno il doppio del normale.
“NON SIAMO STATI NOI!” urlò Hive, anch’esso in preda al panico “E’ SUCCESSO ALL’IMPROVVISO! COS’E’ QUESTA STORIA??”
Rayfner fissò ancora per un attimo il lento e ineluttabile avvicinarsi del manto dorato. La candida mano della morte.
“PRESTO! VENITE CON ME! Dobbiamo isolare questo settore!”
I quattro si lanciarono in un folle retro-front, fino al raggiungimento di una porta stagna alla fine di un lungo corridoio.
Rayfner fece passare una tessera di riconoscimento davanti ad un sensore e la porta si chiuse di colpo. Delle pistole a spruzzo elettroniche poste sul soffitto spararono del colloide gelatinoso sui bordi della porta a tenuta stagna, bloccandola completamente in ogni sua fessura.
Lo scienziato si sedette iniziando a respirare faticosamente, ad occhi chiusi e con il capo reclino all’indietro. Sembrava sollevato, ma ancora terrorizzato a morte. Il professore e Den rimasero in piedi a fissarlo, avevano un groppo in gola come mai gli era capitato sinora. Solo Carlos, da militare addestrato qual’era, sembrava più tranquillo degli altri.
“Ho visto delle telecamere muoversi.”
“Cosa…come dice Carlos?”
“Delle telecamere si sono mosse mentre eravamo di là. Qualcuno ci guardava.”
“Le telecamere? E’ impossibile. Le telecamere sono a controllo manuale e la sala controllo è chiusa da decenni.” Intervenne Rayfner “Tengo solo una schermata di controllo delle principali monitor in laboratorio, quelle puntate sui compartimenti in pratica, ma non posso muovere nessuna telecamera…e qui ci siamo solo noi.”
“Sono sicuro di averla vista muoversi. Quante telecamere ci sono in totale?”
“Centinaia, nel laboratorio sono ben 12, anche nelle nostre stanze ce n’è una.”
“Quindi è possibile che qualcuno ci stia controllando, che abbia sentito i nostri discorsi ed azionato l’apertura della gabbia…”
“Non capisco come!” aggiunse lo scienziato “Siamo soli qui e le connessioni con l’esterno sono completamente annullate dalle interferenze causate dalla nebbia. Nemmeno il telefono via cavo funziona. Siamo isolati.”
“Già, isolati. A sud del muro la nebbia blocca tutte le comunicazioni…”
“Cosa stai cercando di dire, Carlos?” Den intervenne.
“Che se qualcuno controlla questo posto, non si trova nel lato del pianeta che consideriamo abitato. Temo che le visioni di Den abbiamo dei fondamenti…c’è davvero vita al di là di questo mostro metallico.”

Til next time,
Francesco e Andrea at 00:00

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