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Scrittura Cooperativa V2

non sappiamo dove arriveremo, e noi stessi non abbiamo idea di come faremo.
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08 Jun 2009
Capitolo 2 - Racconto 6 - Eden



Un campo di grano, con spighe altissime. Al di là di questo una zona boschiva composta di alti pioppi ed abeti posti un po' alla rinfusa, come la natura di solito ama disporli.
Il cielo di un azzurro quasi pastello, il sole coperto da due leggere nuvolette che falliscono nel tentativo di oscurarne la potenza.
L'aria calda ed in quiete, profumata, spezzata talvolta da qualche breve brezza più fresca, di quelle che chiunque si ama assaporare ad occhi chiusi.
Den era immobile in mezzo al campo, indossava un paio di calzoni bianchi e leggerissimi, probabilmente di lino, ed una camicia tendente all'azzurro non abbottonata.
Si sentiva in paradiso.
Rimase ancora qualche attimo immobile a godersi quel tepore sulla pelle, senza chiedersi alcunchè; si sentiva bene, a casa.
Erano anni, decenni che non si sentiva così bene.
Poi un pensiero gli attraversò la mente, fu un istante ma bastò per terrorizzarlo:
"Dove diavolo sono?!" si chiese.
Den comprese di essere di nuovo prigioniero della sua mente, libero di fare qualsiasi cosa dentro di essa ma incapace di rapportarsi con il mondo reale, o con quello che comunque ancora credeva essere il mondo reale.
Pensò per un attimo a quello che poteva star succedendo "fuori" in quel momento, si sforzò di pensare che magari stesse dormendo o che comunque si trovasse in un luogo isolato, impossibilitato nel far del male a qualcuno.
"Ero nella galleria, magari in questo momento sto solo camminando..magari mi hanno disarmato.."

Ormai il sergente sapeva come funzionava, ognuna delle sue allucinazioni portava a qualcosa, anche se quasi sempre questo qualcosa non aveva un significato preciso, o se ce l'aveva era lo stesso Den a disilludersi pensando che quel significato fosse solo frutto di un ragionamento razionale basato su un evento irrazionale. Tutto frutto della sua mente.
Nel bene o nel male decise di muoversi, di esplorare l'aera, sperando che l'allucinazione svanisse in fretta.
Si diresse verso la zona boschiva che circondava la grande distesa giallastra di spighe, attraversò i pioppi e gli abeti fino a giungere ad un sentiero sterrato che si contorceva tra la vegetazione.
Proseguì il suo cammino lasciandosi alle spalle la zona dalla quale era partito, non pensò nemmeno ad un modo per ricordarsi come tornarvi, dato che nei suoi sogni nulla restava uguale per più di qualche minuto e non si tornava mai indietro.

Alla fine del sentiero, dopo non molto cammino, Den iniziò ad intravedere delle costruzioni. Erano delle case, alcune in legno, altre in muratura. Alte non più di due piani e con i tetti a falda.
Appena giunto a quello che considerava l'ingresso al paese, questo gli apparve come una grande strada centrale, asfaltata e con le corsie per le automobili disegnate al suolo, uno scorcio prospettico molto lungo che protava chissà dove. Sul fianco le case apparverò per ciò che erano: piccole case a schiera all'americana, tipiche dei primi anni del ventunesimo secolo.
Den trovò strano che la strada asfaltata si perdesse nel sentiero dal quale era provenuto, divenendo sterrata, ma non diede peso a quest'ulteriore follia partorita dalla sua mente.
Camminò un po' per le case, c'erano i campanelli ed i numeri civivi.
"Margareth Smithson...Johnathan Bishop...Oscar Cruz.."
Nomi normali di persone normali.
Un po' più giù vide qualcuno, una persona ferma davanti ad un garage intenta a scrivere qualcosa su un taccuino. Era un uomo di mezza età, quasi calvo, alto ed in sovrappeso. Vestiva un paio di pantaloni beige ed una camicia giallo spento.
Era insolito per Den vedere persone nei suoi incubi, persone diverse da sua madre perlomeno.
Provò ad avvicinarsi.
"Scusi." chiese Den con voce calma
"Oh salve, mi dica.." rispose il signore con il mano il taccuino.
"Sa dirmi dove mi trovo?"
"Prego?"
"Sa dirmi dove ci troviamo in questo momento?"
"In mezzo ad una strada, sir.."
"Sì.." continuò un po' spazientito Den "..intendevo dire, in quale città?"
"Barnard, sir. Barnard Castle!"
"Ah...capisco..e dove si troverebbe, in Inghilterra?"
L'uomo fece la tipica faccia che fanno le persone quando hanno davanti a loro un pazzo.
"Sì.." rispose "..siamo in Inghilterra, sir. Ad ovest di Darlington."
Il sergente Myers sobbalzò un istante.
"Darlington non esiste più, è una zona desertificata." pensò "Si trova al di là del muro...che diavolo significa tutto questo?"
Di nuovo tentò di dare un significato a qualcosa che era del tutto fasullo e privo di senso, ma non ci riuscì.
"Lei da dove viene?" chiese a sua volta l'uomo di mezza età a Den.
"Dal sentiero.."
"Da quel sentiero là?"
"Sì, esatto.."
"E prima del sentiero, dove si trovava?
"In un campo di grano."
"AH!" esclamò compiaciuto e stupito l'uomo "lei è un uomo che viene dal campo di grano!" continuò.
"E' una cosa bella?"
"Certo che lo è e capisco perchè è così confuso, sir."
"Davvero?"
"Certo!"
Den stette in silenzio qualche secondo, pregò con tutto il cuore di chiudere gli occhi e di trovarsi sveglio dopo averli riaperti. Li chiuse e li riaprì, ma dinnanzi a lui c'era ancora il signore che lo fissava.
Quest'ultimo tornò a scrivere qualcosa sul suo taccuino.
"Forse il mio cervello, la nebbia o quello che mi sta facendo tutto questo, vuole che chieda al signore del taccuino!" pensò Den.
"Scusi," chiese di nuovo al signore con il taccuino "posso sapere cosa sta scrivendo?"
"Certo, sir! Sto segnandomi ciò che vorrei mi fosse assegnato dopo i pranzi di questa settimana."
"Prego?"
"Sì, gli oggetti che vorrei. Mi farebbero molto comodo un paio di cinture, a mia moglie invece piacerebbe un libro. Sa, a volte in qualche zaino se ne trovano, anche se è più facile scovare del vestiario, sir".
"Mi perdoni" disse Den confuso "non capisco di cosa stia parlando."
"Aaah voi uomini del grano, me l'avevano detto che bisogna spiegarvi tutto! Venga con me, le spiego strada facendo."
Il signore si incamminò lungo la strada, Den lo seguì.
"Oggi è arrivato un carico per i pasti di questa settimana." disse l'uomo "Ha visto per caso animali mentre veniva qua dal sentiero?"
Den ci pensò, in effetti non ne aveva visti.
"No, in effetti non ne ho visti."
"Perchè non ce ne sono! Non ci sono animali, solo piante!" esclamò l'altro.
"Strano.."
"Davvero, sir. Strano! Però allora cosa possiamo mangiare? Non si vive di sole carote!"
"A dire il vero molti vegetariani ne vivono."
"Oh beh, qui ha ragione lei, sir. Allora diciamo che non tutti riusciamo ad essere vegetariani!"
"Ok..e quindi?"
"Quindi ogni settimana, a volte ogni due, ci arriva un carico per i pasti cittadini. Qua mangiamo tutti assieme, sir!"
"Ah e quanti siete?"
"Qui a Barnard Castle siamo 998 persone, tutti originari di Barnard Castle, sir!"
Camminando e parlando i due giunsero ad una piazzetta dove c'era una decina di persone, alcune chiacchieravano, altre erano intente a spostare botti di vino.
"Oh, ecco dei miei compaesani laggiù! Tutti di Barnard Castle, sir!" disse l'uomo.
Den si soffermò ad osservare, gente serena, sembrava tutto dannatamente normale, tranquillo. Davvero un piccolo paradiso, "Qual'è il punto?" continuava a chiedersi.
"Vede sir, in quella casa.." disse il signore indicando una casa imponente con le finestre sprangate "..teniamo i carichi settimanali per i pasti."
"Chi vi manda il cibo? Dove prendete gli animali da mangiare?" Cosa c'entra tutto questo con ciò che scriveva nel taccuino?" chiese ancora Den.
"Semplice sir, di animali non ce ne sono, quindi cosa possiamo mangiare?"
"Non so. Me lo dica lei!"
"Persone, sir"
"Persone?"
"Sì, sir. Altre persone!"
Den rabbrividì, il sangue gli si raggelò nelle vene e l'ansia prese il sopravvento. Iniziò a non sentirsi più al sicuro, l'aria da tiepida gli parve afosa e ghiacciata allo stesso tempo ed iniziò a tastarsi addosso alla ricerca del fucile.
"Perchè fa quella faccia, sir?" chiese il signore di mezza età col taccuino "Non è una pratica in uso dalle vostre parti?"
"PERSONE?" urlò Den "VOI MANGIATE LE PERSONE?"
"Si calmi, sir! Non vogliamo mangiare pure lei, lei è un uomo del grano."
Den fece mente locale e di nuovo ripensò al fatto che tutto quello che vedeva era frutto della sua mente, anche se sembrava sempre troppo reale.
"Voi mangiate le persone? Ma, come diavolo...cioè, come le trovate? Vi mangiate tra di voi?"
"MA NO, SIR! A Barnard Castle siamo 998 anime, tutte originarie di Barnard Castle! Le persone ci vengono portate da Darlington, arrivano con il treno fino a lì e fino a qui con i furgoni. Un normale trasporto, sir!"
"Ma sono persone...già morte?"
"Mi piacerebbe che fosse così, sir. Però devo dirle di no, arrivano vive e...beh, dobbiamo pur mangiare."
Den iniziò a correre verso la casa con le finestre sbarrate e provò a guardare all'interno di una di queste: vide delle celle all'interno, disposte lungo un corridoio; all'interno di ognuna c'erano 4 o 5 persone.
Fu raggiunto dal signore di mezza età.
"Vede," disse a Den "stanno tutti bene, sir!"
"MA POI VE LI MANGIATE! LI UCCIDETE!"
"Siamo 998 anime, sir! Dobbiamo mangiare a Barnard Castle."
"Il taccuino," continuò Den "il taccuino lo usate per spartirvi i loro averi..era questo che intendeva."
"Ohohohoh ma certo sir, mica ci mangiamo anche i vestiti! Ci ha preso per dei mostri?"
Den inorridì di nuovo, poi continuò a guardare all'interno della casa, attraverso le finestre. Il signore intanto continuava a parlare:
"Dopo la condurrò dal primo cittadino, sir. Lui ha già avuto esperienze con uomini del grano, gente come lei, saprà dirle di più, saprà come gestirla. Io sono un po' impreparato, non mi era mai capitato di incontrarne uno!"
Den guardò con attenzione: donne, ragazzine, anziani. Nessun giovane uomo. Tutti stivati nelle celle della casa, pronti per essere cucinati per pranzi e cene cittadine. Un'immagine orribile, Den avrebbe voluto liberarli e distruggere tutto, ma era solo un uomo disarmato contro 998 anime, tutte originarie di Barnard Castle.
L'allucinazione era divenuta terrificante, così ossimorica quella situazione di raccapriccio paragonata all'atmosfera e all'arietta del luogo, ma la scena che si trovò ad osservare Den pochi istanti dopo lo fu ancora di più. In una delle celle vide lei, sua moglie, July, in ginocchio stretta al suo zainetto.
"JULY!!!" urlò Den.
Lei si voltò disorientata, guardò al di là della finestra.
"JULY SONO DEN!!!!"
Lei non rispose, lo fissò per qualche istante, poi tornò a stringere forte il suo zainetto guardando il suolo.
Den si sentì morire, provò ancora a credere che tutto quello fosse frutto della sua mente, ma la rabbia prese il sopravvento.
"Perchè urla, sir? Non possono sentirla, le assicuro che la loro mente è molto più confusa della sua. A volte nemmeno si accorgono che li cuciniamo!" disse l'uomo sorridendo. Den non ci pensò due volte e gli si scagliò contro atterrandolo con un forte pugno al volto.
Le persone presenti nella piazza videro la scena ed alcune di loro iniziarono a correre contro Den urlandogli "Che diavolo sta combinando?".
Den tornò alla finestra e continuò ad urlare il nome di sua moglie, scuotendo le sbarre senza provocar però loro alcun danno.
Sentì un colpo alla schiena, poi cadde a terra, svenuto.

Riaprì gli occhi, sembrava fosse passato molto tempo.
Si trovava altrove adesso, era in una grande stanza con poca luce.
"Sono sveglio, è il mondo reale." pensò, constatando di trovarsi nel mini accampamento che aveva tirato su con i suo compagni.
"Come ti senti?" gli chiese Carlos, che gli si mostrò davanti con un bel ringofiamento sul viso, segno di un forte colpo subito.
"Quello te l'ho fatto io, vero Carlos?" chiese il sergente Myers.
"Eh sì Den, sono persino svenuto, ma alcune donne in vita mia mi hanno dato colpi peggiori!"
Hive era poco distante, seduto, cercava qualcosa nel suo zaino.
Den sorrise, sentiva dolore alla schiena. "Chi è stato a colpirmi?" chiese.
"E' stato il professore, quando vuole ne ha di forza!"
"Ho usato un paletto di ferro, in realtà." rispose Hive.
"Dai che ci mangiamo qualcosa, prova ad alzarti Den." disse Carlos, porgendogli la mano.
"Mangiamo...?" sussurò Den. Le immagini che aveva visto nella sua allucinazione tornarono a tormentargli la mente.
"JULY!!!" urlò alzandosi in piedi di scatto, chinandosi poi un po' per il dolore alla schiena.
Hive e Carlos gli intimarono di calmarsi, gli chiesero cosa fosse successo, cosa avesse visto nella sua allucinazione.
Den fissò il pentolino che si scaldava sul fornello di Hive e disse:
"Devo andare a Barnard Castle, mia moglie è in pericolo!"
Gli altri capirono che Den si stava riferendo a qualcosa che lo aveva turbato nel suo sogno.
Carlos lo guardò poco convinto e chiese:
"Barnard Castle? E dove si troverebbe, in Inghilterra?"

Til next time,
Francesco e Andrea at 00:00

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